Quello che (forse) ho capito del Brasile |
Premessa.
… dove metto le mani avanti. Varie volte, le impressioni che avevo raccolto da turista, in viaggi comunque brevi, sono state completamente smentite dai fatti successivi. Mi domando ancora ogni tanto cosa giustificasse nel 1989 la mia idea della Jugoslavia come di un paese assolutamente pacifico, quando l'anno dopo scoppiò la guerra che sappiamo. Quindi non prendetemi troppo sul serio, e se vi volete documentare veramente, cercate altrove. Tre settimane in Brasile sono oltretutto un soffio, viste le dimensioni continentali del paese. Questo resoconto serve soprattutto alla mia personale memoria. Il Brasile è un continente: grandi distanze e molti climi.
Come superficie e come popolazione il Brasile rappresenta metà dell'America meridionale. Metà del Sud America parla spagnolo, ed è diviso in una dozzina di stati. L'altra metà parla portoghese e sta in un solo stato: il Brasile. Dei suoi 175 milioni di abitanti, il 27% ha meno di 15 anni: i giovani non mancano in Brasile, ed è l'effetto di una fecondità rimasta altissima fino al recente passato, fecondità oggi scesa ad 1,97 figli per donna, cioè ad un livello assolutamente “normale”. Le grandi distanze obbligano a viaggiare con l'aereo, anche perché di ferrovie non ce ne sono molte. Su un territorio così grande, il clima è molto diversificato. Nel Nord non solo è più caldo, ma - via via che ci si avvicina all'Equatore - la differenza fra le varie stagioni si riduce, le giornate durano esattamente 12 ore, il tramonto e l'alba durano poco, e alle 18 è già scuro (questo attenua la sensazione di caldo). Ci si difende dal caldo con le ventole a soffitto, diffuse ovunque e piuttosto funzionali: la velocità è regolabile “in continuo” come da noi la luminosità delle alogene col potenziometro, si può scegliere se dirigere il movimento delle pale da destra a sinistra o al contrario: in un caso il flusso d'aria è concentrato, nell'altro più diffuso. Ovviamente ci sono anche i condizionatori, spesso un po' antiquati, e quindi rumorosi o troppo forti. Mai sentito così freddo come a Brasilia, nel palazzo presidenziale. Evidentemente – anche qui - la climatizzazione è uno status symbol. Nel Sud il clima diventa più fresco, o meglio relativamente fresco, se si tiene conto che Rio sta sul Tropico del Capricorno. La città omologa come posizione nell'emisfero Nord potrebbe essere Il Cairo, che sta sul Tropico del Cancro, e che certamente non è una città “fresca”. Le somiglianze finiscono qui, anche perché la parte “temperata” dell'emisfero australe è formata da poche terre, meno popolate rispetto all'emisfero boreale. Per designare quella che noi chiamiamo, senza riferimenti astronomici, America del Sud, qui è molto diffuso l'uso dei termini “antartico” o “australe”. Antartica o Australe sono marche di gelati e nomi di giornali. Si chiamava “Francia antartica” l'organizzazione dei fuoriusciti ugonotti che contendeva ai portoghesi il controllo della baia di Guanabara, dove oggi c'è Rio de Janeiro. Il melting pot brasiliano. Ci hanno detto che un passaporto brasiliano rubato, sul mercato clandestino, vale 10 mila dollari, cioè il prezzo massimo, perché può esserci sopra la foto di chiunque, bianco, nero o giallo. Rispetto all'Argentina – dove il 97% della popolazione è “bianco”, di origine europea, il Brasile è molto più “colorato”. Il Factbook della Cia, molto comodo da consultare su internet, dice che in Brasile la popolazione bianca è il 55%, quella variamente meticcia il 38%, quella nera il 6% e il restante 1% è composto da indios, asiatici, arabi ecc. I neri, discendenti dagli schiavi, stanno soprattutto negli stati del Nord (Bahia, Pernambuco...), dal clima più caldo. Talvolta hanno formato nelle zone più aride del Nord Est (il sertao) delle comunità autonome (chilombo) di ex schiavi fuggiti dalle piantagioni, comunità che si sono autogovernate e sono vissute “in clandestinità”, ignorate dal resto del Paese (in un paese così grande, deve essere molto facile far perdere le proprie tracce). Gli italiani si sono stabiliti più a sud, in regioni più temperate, nello stato di Espirito Santo, di Santa Catarina e a San Paolo, una megalopoli di 15 milioni di abitanti, la terza città del mondo, credo dopo Tokio e Città del Messico. Per me la visione di San Paolo dall'aereo è stata un misto di incubo e di ammirazione. Pur essendo il centro economico e culturale del Brasile, deve essere molto faticoso viverci. La gente ci mette tempi spaventosi solo per andare a lavorare ogni mattina. Si dice anche che sia la più grande città italiana del mondo, essendoci a San Paolo più italiani che a Roma. Il quartiere italiano, peraltro, non mi sembra abbia nulla di memorabile. Quella italiana non è stata, salvo eccezioni, un'emigrazione “ricca”: in realtà gli italiani cominciarono ad emigrare in massa verso il Brasile alla fine dell'Ottocento, per sostituire nelle piantagioni gli schiavi ormai liberati. L'abolizione della schiavitù fu decisa dal Brasile (buon ultimo fra tutti gli stati del mondo) nel 1888, dopo che due anni prima era già stata approvata dall'ultima imperatrice la legge del “ventre libero”, grazie alla quale avevano finalmente il diritto di nascere liberi almeno i figli delle schiave. Dopo, si registrò una mancanza di lavoratori manuali che fece aumentare l'immigrazione dall'Europa.
Si calcola che oggi 20 milioni di brasiliani (qualcuno arriva a dire 25) siano di discendenza italiana. Fra questi c'è anche la moglie di Lula. Nonostante la rilevanza quantitativa, quella dei nostri emigrati è una storia di povertà e di disconoscimento da parte della “patria” ingrata. Di conseguenza, i rapporti con l'Italia sono molto deboli; rimane qualche spezzone di legame familiare, se non sono passate troppe generazioni, e i molteplici legami con il mondo cattolico (ad esempio, molti oggetti della cattedrale di San Paolo, come le campane, vengono dall'Italia). Molto importanti anche i legami a livello di mondo del calcio, grande passione che accomuna italiani e brasiliani, ma su questo sono poco informata. In ogni caso, il numero dei turisti brasiliani che viene a visitare l'Italia è molto superiore a quello degli italiani che vanno in Brasile. Ancora più a sud, quindi nelle regioni più fredde (Porto Alegre e dintorni) si insediarono gli immigrati tedeschi. Un po' ovunque, come in molti altri paesi dell'America Latina, non è difficile incontrare dei giapponesi. Infine, dell'esistenza di una minoranza araba in Brasile, è possibile sapere non solo dai romanzi di Jorge Amado, ma anche dalle rivelazioni di Newsweek, nel settembre 2004, sui piani (non realizzati) di intervento militare degli USA in America Latina dopo l'11 settembre, giustificati (si fa per dire) proprio dall'esistenza di questa minoranza, e dalle sue componenti fondamentaliste.
La lingua. Si parla il portoghese, ma forse sarebbe più giusto chiamarlo il brasiliano, visto che ad una popolazione di 9 milioni di portoghesi corrispondono oltre 170 milioni di brasiliani. Fra portoghese e “brasiliano” c'è grosso modo lo stesso rapporto che c'è fra l'inglese degli inglesi e quello degli americani: usi lessicali un po' diversi, maggiore differenza fra le due lingue nelle forme parlate e al contrario maggiore aderenza del brasiliano alle forme classiche portoghesi nel linguaggio scritto. Il portoghese parlato è piuttosto difficile da capire. Quello scritto invece no: dopo un paio di settimane arrivavo a decifrare qualche articolo di giornale. A proposito di giornali, è stato quasi impossibile trovare i giornali italiani (comunque solo il Corriere della Sera), al di fuori di qualche rara edicola nel centro di San Paolo. Abbiamo invece parlato italiano senza particolari problemi con i personaggi che abbiamo incontrato (italiani arrivati lì vari anni fa, o brasiliani discendenti da nonni italiani). Sarebbe più preciso però dire italiano-veneto, perché la grande maggioranza degli italiani del Brasile viene dal Veneto. Quella che effettivamente parlano è una vera e propria lingua con tanto di vocabolario: il “talian”. Al contrario delle edicole di San Paolo, ho visto una sorprendente quantità di pubblicazioni / riviste italiane nella biblioteca di un piccolo monastero benedettino a Goias Velho, nell'interno del Brasile, a riprova di quanto dicevo prima: gli unici rapporti tuttora vitali che si mantengono con la cultura italiana sembrano essere quelli che passano per il mondo cattolico o per il calcio. Molto tradotti però i libri del sociologo Domenico De Masi, che ho trovato in edizione brasiliana nelle librerie degli aeroporti. Forse è oggi l'italiano più tradotto in portoghese. La società brasiliana: la scala lunga delle differenze sociali. La scala delle differenze sociali che riteniamo tollerabile in Europa è molto più corta rispetto a quella in uso in Brasile, un po' come residuo della storia coloniale, un po' per l'esempio devastante della vicina società USA. Ciò vale non solo per le differenze di reddito fra imprenditori e dipendenti, ma anche all'interno del lavoro dipendente. Un operaio brasiliano è pagato molto meno di un operaio italiano, ma lo stesso non si può dire per un dirigente o anche per un professionista brasiliano, che non guadagna molto meno del suo corrispettivo italiano, tenendo conto non solo del suo reddito nominale, ma del livello dei prezzi, molto più basso rispetto all'Italia (un esempio: l'albergo a cinque stelle in cui dormivamo a Brasilia costava 85 euro a notte, una Fiat Palio nuova che ho visto esposta in un centro commerciale, piuttosto spaziosa, veniva venduta a 24 mila reals, cioè circa 8 mila euro). Un ulteriore fattore di disuguaglianza è costituito dalla necessità di ricorrere alle scuole private o a costose assicurazioni sanitarie per avere servizi di qualità, perché i servizi pubblici sono del tutto insoddisfacenti. E' normale, per chi appena se lo può permettere, laurearsi in un'università privata e farsi curare in clinica. Il San Raffaele ha aperto una clinica anche a Salvador de Bahia. Quanto alle abitazioni, bisogna intendersi sul significato della parola favela, come anche di quella ad essa apparentata di “invasione” (= occupazione, in genere abusiva). Favela è un aggregato di abitazioni autocostruite alla meglio dalle famiglie che ci abitano, in genere (ma non sempre) piuttosto degradate. Spesso ci sono gli allacciamenti della luce e dell'acqua, qualche volta anche uno sportello bancario. Arrivando a Rio, dall'aereo si riconoscono subito all'interno dell'area urbana delle specie di paesetti su dei cocuzzoli, incuneati fra gli altri quartieri, costruiti invece con i criteri “moderni” (terreni spianati, strade rettilinee, edifici più alti). Direi che la favela è l'ennesima manifestazione – a livello abitativo - della mancanza nella società brasiliana del livello intermedio, questa volta fra gli appartamenti di lusso (che ci sono, e non sono pochi) e le baracche (che naturalmente sono molte di più). Mi hanno detto che il reddito relativamente alto di ingegneri, medici, ecc. è dovuto alla relativa scarsità di persone con studi universitari, e alla diffusa accettazione sociale per queste differenze. Questo è un problema comune anche ad altri paesi latino-americani, e spiegherebbe perché, qualche anno fa, l'inserimento di ritorno in Italia degli italo-argentini, soprattutto laureati, sia stato così difficile. Sorprende perciò che una delle agitazioni sindacali contro il Governo Lula venga dai professori universitari, che non dovrebbero essere proprio gli ultimi all'interno della società brasiliana. C'è poi l'elemento soggettivo. I ricchi brasiliani finora sembrano ben felici di esserlo, non hanno sensi di colpa e non si curano dei poveri, che tendono a considerare dei mezzi banditi, da controllare attraverso la polizia. Fra l'altro, al contrario dell'Italia, in Brasile è “di sinistra” sostenere un più forte controllo da parte del Governo sulla magistratura e sulla polizia, entrambe giudicate molto corrotte. La criminalità comunque rimane molto alta: le guide consigliano sempre di non esibire macchine fotografiche, telefonini e gioielli. Pare che qualche anno fa fosse ancora peggio: un amico mi ha raccontato che ai semafori di Rio la polizia faceva passare col rosso, la notte, per evitare che i rapinatori si avvicinassero alle auto. Solidarietà italiana ce n'è molta, anche perché pochi euro si traducono in molti reals brasiliani. Nelle iniziative sociali che abbiamo visitato, varie volte abbiamo sentito dire ai nostri interlocutori: se poi non ce la facciamo con i nostri progetti, verremo in Italia a chiedervi aiuto. Invece c'è poca solidarietà da parte del ceto brasiliano medio-alto, che pure avrebbe i mezzi per farla. Ad esempio, vi sono pochi genitori brasiliani interessati all'adozione. Per una “sintesi” degli indicatori sociali più importanti, ma sono più di 300 pagine, si può andare sul sito dell'IBGE (Istituto Brasiliano di Geografia e di Statistica). Quello che abbiamo visto ci fa pensare comunque che – al di là delle disuguaglianze – questo paese si sta sviluppando: alla grande povertà si accompagna una grande ricchezza, di cui per me sono un po' il simbolo i grattacieli di Recife (la capitale del Nord Est di Helder Camara). Forse è arrivato il momento di capire che troppa disuguaglianza nuoce non solo all'equità sociale, ma anche allo sviluppo economico.
Cosa cerca di fare il Governo Lula.
Premesso che il Brasile è una repubblica presidenziale ma federalista, il Presidente della Repubblica è anche Capo del Governo, ma molti poteri appartengono agli stati (circa trenta). Si suole dire che Lula ha solo vinto le elezioni, ma non c'è stata la rivoluzione: questo per dire che la realtà del Brasile non può cambiare subito. Sono in cantiere tre riforme: quella delle relazioni sindacali, quella fiscale e quella previdenziale. Da quanto ho potuto capire, finora non c'è in Brasile una vera e propria libertà di associazione sindacale, si parla piuttosto di un regime “corporativo” simile a quello dell'Italia fascista (quindi, sembrerebbe, anche obbligo di iscrizione al sindacato). Per la riforma fiscale e la riforma previdenziale, gli obiettivi sarebbero quelli di una maggiore “sostenibilità” sociale ed insieme economica, riducendo le attuali disuguaglianze e contemporaneamente salvaguardando il disastrato bilancio statale brasiliano, sottoposto a stretta sorveglianza da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI), per la restituzione del debito estero. L'equazione ovviamente è molto difficile. In generale, il Governo Lula è ritenuto un governo “di unità nazionale”, con una politica economica molto attenta a rassicurare gli imprenditori e a stimolare – con un certo successo - lo sviluppo economico. Questo gli fa piovere addosso molte critiche “di sinistra”, non di rado provenienti da settori di opinione non sempre necessariamente “di sinistra” (es, alcuni grandi giornali, la conferenza episcopale brasiliana…), critiche che talvolta tendono un po' alla demagogia. In particolare si chiede a Lula di seguire l'esempio del presidente argentino Kirchner, il quale ha dichiarato che l'Argentina non intende restituire il debito estero: questo appagherebbe l'orgoglio nazionale, ma forse non è una buona idea per la credibilità internazionale del paese. Si tenga presente che il 70% dei crediti in sofferenza del FMI riguarda tre paesi: Argentina, Brasile e Turchia. Più “politica” la richiesta – comune a tutti i paesi dell'America Latina – di rinegoziare condizioni e durata del debito estero.
I rapporti con la locale confindustria sembrerebbero buoni: quando gli industriali si sono lamentati per un ventilato aumento dei contributi sociali, deciso per ripianare i bilanci pensionistici, il Governo ha prontamente ritirato il progetto. Il nuovo governatore della banca centrale brasiliana, recentemente nominato dal governo, è stato classificato dai giornali un “Chicago boy” (si tratterebbe cioè di un liberista doc, rispetto al quale i passati e presenti governatori della Banca d'Italia sarebbero dei pericolosi comunisti). Il tutto si spiega con l'esigenza prioritaria di dare rassicurazioni agli investitori internazionali. Le riforme sociali procedono a rilento, per difficoltà finanziarie, e perché i singoli stati possono non condividerle, col rischio di perdere il favore popolare. Il progetto “fame zero” e la “cesta basica” (consistente in un paniere di beni soprattutto alimentari) alle famiglie povere in realtà proseguono, potenziandole, iniziative simili già avviate dal governo Cardoso. Idem per le assegnazioni di terra alle famiglie senza terra, che rimangono molto al di sotto degli obiettivi prefissati dal governo, anche se la qualità dei terreni assegnati pare sia migliorata rispetto al passato e l'assegnazione della terra ora è sempre accompagnata dall'assistenza tecnica. Per valutare correttamente le occupazioni di terre del Movimento dei “Sen terra”, bisogna ricordare che in Brasile non c'è mai stata una riforma agraria e il diritto di proprietà sui suoli nella storia si è affermato “sulla punta del fucile”, con la ratifica da parte dello Stato delle illegalità compiute dagli attuali proprietari, a cominciare dalla storica espropriazione delle popolazioni indie. I meno insoddisfatti di Lula sembrano gli Afrobrasiliani, che per la prima volta hanno una rappresentanza consistente all'interno del Governo. Tra parentesi, essi contestano radicalmente la rappresentazione idilliaca del Brasile come terra dell'armonia razziale: i poveri sono sempre di pelle scura e nessun generale o diplomatico invece lo è. La sinistra più matura afferma tuttavia che è impossibile opporsi al governo Lula, e che esso porterà nel tempo ad “equilibri più avanzati”. Risultati molto positivi il governo sembra ottenerli sul piano internazionale (alleanze, anche commerciali, con alcuni paesi africani e con la Cina, pressioni per un posto al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite). Insomma, oltre che di unità nazionale, quello di Lula sembra un governo un po' “nazionalistico”, che intende valorizzare il ruolo del Brasile come decima potenza economica del pianeta e come leader delle potenze economiche emergenti, insieme a Cina e India. Il controllo delle nascite e il rapporto fra religione e politica. A differenza di parte consistente della destra italiana, la destra brasiliana non si cura molto di quanto pensa la Chiesa, perché abituata a considerarla - soprattutto in passato - come alleata dei “comunisti”. Quando Giovanni Paolo II ha visitato il Brasile, la moglie dell'allora presidente Cardoso (centro destra), intervistata da un importante giornale, ha espresso tutta la sua soddisfazione per l'incontro, salvo a dire chiaramente che l'opinione del Papa non avrebbe minimamente influito sulle scelte del Governo brasiliano in materia di diritto di famiglia (era in discussione una legge sulla quale la chiesa brasiliana faceva ostracismo). Questo comporta, paradossalmente ma non tanto, che l'anima laicista della società brasiliana trovi piena cittadinanza nella destra, e che nella sinistra sia specularmente difficile parlare - ad esempio - di controllo delle nascite, assimilate sempre ad una forma di controllo da parte degli Stati Uniti, che diffonderebbero con le proprie organizzazioni solo la sterilizzazione (ma gli Usa la praticano molto anche a casa propria). Mi hanno detto che il 40% delle donne brasiliane sarebbero sterilizzate. A giudicare dal livello attuale del tasso di fertilità, si direbbe con eccellenti risultati. Ciò nonostante, la sinistra a volte riesce a dare qualche dispiacere alla Chiesa. Il governo Lula, ad esempio, ha promosso la distribuzione e l'uso dei preservativi – soprattutto in occasione del famoso Carnevale – perché nove mesi dopo si registrava regolarmente un'impennata delle nascite e poi dell'abbandono di bambini. La Chiesa ovviamente non ha gradito.
Le molte religioni brasiliane. Dal punto di vista religioso, tradizionalmente, un'ampia presenza ebraica e massone ha caratterizzato la società brasiliana. La prima sinagoga dell'America Latina è stata costruita a Recife, la capitale del Pernambuco. L'idea massone di “città ideale” non è estranea alla decisione di innalzare dal nulla la nuova capitale, Brasilia. La massoneria ha la sua sede ufficiale, con tanto di targa, a due passi dalla cattedrale di Rio de Janeiro. C'è poi un'importante presenza dei culti tradizionali afrobrasiliani (candomblé, umbanda…), soprattutto negli Stati del Nord. Durante le cerimonie rituali, attraverso la danza, il canto e le percussioni ritmiche si provoca una specie di trance, nella quale ci si mette in contatto con gli Orishà (gli spiriti, l'energia divina, ma queste figure hanno anche qualche contaminazione con figure particolari di santi), in particolare con il proprio Orishà, perché ciascuno ne ha uno che lo protegge e che viene individuato attraverso una specie di oroscopo. Ogni Orishà ha anche un giorno della settimana o un colore che gli appartiene. Si può pensare che il candomblé sia praticato solo in ambienti popolari, e invece non è così: queste religioni esercitano un certo richiamo anche su intellettuali o credenti cattolici assolutamente “regolari”. Essi vogliono raccogliere le forme di spiritualità trasmesse dagli schiavi africani, che - dopo aver ricevuto il battesimo a forza - conservarono nel segreto i loro culti, componendo un'originale fusione con il cattolicesimo. A me tutto questo è sembrato anche un modo per valorizzare la propria discendenza afrobrasiliana, oppure, diversamente, per elaborare una delle due colpe storiche del Brasile, quella della schiavitù (l'altro peccato originale del Brasile è il genocidio degli indios). Comunque il 25% dei brasiliani, secondo alcune inchieste, dichiara una plurima appartenenza religiosa, e fra questi ci sono sicuramente gli iniziati al candomblé e ai vari movimenti carismatici/pentecostali (interessante a questo proposito il libro di Philip Jenkins “La terza chiesa, Il cristianesimo nel XXI secolo”, ed Fazi). Durante l'attuale pontificato, è stata soffocata la teologia della liberazione, sostituendo con vescovi “allineati” (preferibilmente targati “Opus Dei”) tutti quelli considerati sovversivi, quando raggiungevano i limiti di età. C'erano tre milioni di comunità cristiane di base, di cui ben poco oggi rimane. La concreta prospettiva è che l'eredità di questa partecipazione popolare venga ora raccolta da movimenti pentecostali e dalle sette protestanti di provenienza (e finanziamento) prevalentemente nordamericani, che puntano molto sul coinvolgimento emotivo e su una religiosità intesa come richiesta di grazie concrete per le persone. In dieci anni, i cattolici sono diminuiti da una quota dell'85% della popolazione, registrata al censimento del 1991, al 75% del censimento 2001.
Anche nella pratica liturgica cattolica è diffusa in tutto il Brasile l'abitudine di cantare con grande partecipazione, o in coro, oppure con un solista che si accompagna con la chitarra e potenti altoparlanti. La liturgia eucaristica, diversamente dall'Italia, prevede numerosi interventi (cantati) dell'assemblea dei fedeli. In ogni caso, l'effetto sonoro è assicurato, facendo un po' somigliare le chiese ad altrettante discoteche, almeno per le orecchie di chi preferirebbe il gregoriano. Questa tolleranza liturgica – che può stupire noi europei – è sicuramente dovuta anche alla necessità di fronteggiare il proselitismo delle chiese pentecostali. Il senso del ritmo, dell'espressione corporea, del resto è una componente molto profonda della cultura brasiliana, che trova moltissime manifestazioni: il ballo, la samba e la capoeira, la bossa nova, il movimento musicale del cosiddetto “tropicalismo”, un cui esponente – Gilberto Gil - è oggi Ministro della Cultura. Il Brasile e l'ambiente. Una sensibilità per l'ambiente è certamente diffusa: si parla molto di sviluppo sostenibile, si mostra ai visitatori l'aria inquinata di San Paolo, oltre il 40% delle auto è alimentato ad alcool oppure anche ad alcool (è “ibrido”). La mensa del palazzo presidenziale a Brasilia serve solo alimenti provenienti da coltivazioni biologiche. La mente corre inevitabilmente alla deforestazione dell'Amazzonia, la cui principale causa sarebbe la diffusione delle colture estensive (tipico esempio la soia, un po' transgenica ma non troppo: il Brasile è un po' cauto sugli OGM, ma - credo di aver capito – molto meno dell'Europa; come su molti altri temi, si colloca a mezza strada fra Europa e Usa). Su un giornale brasiliano ho letto che la soluzione ideale, secondo alcuni esperti, sarebbe uno sviluppo industriale dell'Amazzonia, in quanto l'industria consumerebbe meno terra rispetto all'agricoltura, e sarebbe quindi compatibile con le foreste. Nella zona di Manaus, in effetti, c'è già stato un certo sviluppo industriale, e se ne auspica l'estensione ad altre zone. Un punto di vista sorprendente, ma solo per noi che spesso pensiamo ancora al Brasile come un paese sottosviluppato. Intanto alcuni ambienti statunitensi, in base a considerazioni “ecologiste”, propongono l'internazionalizzazione dell'Amazzonia, considerata una risorsa dell'umanità. Ovviamente il Governo brasiliano non è d'accordo, e sostiene che tale punto di vista dovrebbe allora applicarsi anche a risorse di altri paesi, come i pozzi di petrolio, i capolavori dell'arte e così via. Mutamenti climatici non indifferenti, non solo in Brasile, pare abbia provocato la gigantesca diga di Itaipù sul Paranà, vicino alle cascate di Iguaçu, diga più grande di quella di Assuan e di quella (in costruzione) delle Tre Gole in Cina. La costruzione, che risale a trent'anni fa e fu voluta dal regime militare, è stata finanziata da un altrettanto gigantesco debito internazionale. Oggi fornisce il 25% dell'energia elettrica consumata in Brasile, ma rappresenta la principale causa del debito brasiliano, oltre ad aver distrutto delle cascate ancora più imponenti di quelle dell'Iguaçu e ad aver alterato il regime delle piogge. Intanto però il filmato, che viene propinato ai turisti che la visitano, rigurgita di orgoglio nazionale e tecnologico, e in esso si può vedere anche il buon presidente Lula usare l'esempio della diga per affermare che i brasiliani, capaci di costruire simile meraviglia, non sono più un popolo del terzo mondo. Come si è svolto questo viaggio. Il viaggio che ho fatto è stato organizzato da “Cittadella itinerari” di Assisi, la stessa organizzazione con cui sono andata dieci anni fa in Giappone, e che permette di fare viaggi “non solo turistici”. Almeno un 20% del viaggio è stato occupato dagli spostamenti aerei : ne ho contati 13, compresi quelli da e per l'Italia. Il viaggio vero e proprio è stato dedicato un po' al turismo (abbiamo visitato: Salvador, Recife, Olinda, Brasilia, Goias Velho, Rio de Janeiro, Foz de Iguaçu, San Paolo) e un po' alla conoscenza della realtà brasiliana, principalmente attraverso l'incontro con i progetti di solidarietà sostenuti dalla Rete Radiè Resh, fondata nel 1964 dal giornalista Ettore Masina. Ho avuto molti dubbi sull'utilità di questo turismo “solidale”. Eppure, alla fine, mi sono rimasti sentimenti, curiosità, relazioni, che forse altri viaggi non mi avrebbero dato. Provo a spiegarmi. I testimoni con i quali abbiamo parlato non erano analisti politici doc, ma rispetto ad un qualsiasi giornalista o professore universitario (molti oltretutto lo erano, o lo erano stati) avevano il vantaggio di un inserimento effettivo nella realtà di cui parlavano. Le esperienze visitate, poi, mi sono sembrate veramente eccellenti. Mi limito a dirne due qualità che mi hanno colpito: gli ambienti che ho visitato erano semplici, ma molto belli, tali da farmi pensare che ci avrei vissuto volentieri anch'io: il senso estetico mi trasmetteva un'idea di armonia e di amore per la vita; d'altra parte, spazio e legno in Brasile non mancano certo, e la circostanza aiuta l'estetica; ho riscontrato poi una dimensione manageriale / organizzativa di cui si auspicherebbe la presenza in molte aziende: tutti avevano ben presente che non bastavano le buone intenzioni, ma occorrevano i risultati concreti. Inoltre non è raro trovare punte di eccellenza in America Latina nelle scienze umane e sociali applicate; c'è un'attenzione dei media, c'è un sistema di verifica e di segnalazione delle esperienze-modello, da cui anche gli altri possono apprendere, per migliorare.
Alcuni incontri. Praticamente la descrizione di quasi tutte le persone incontrate è sul sito della Rete Radié Resh e, dove possibile, li ho linkati. Voglio accennare ad alcuni incontri che mi hanno colpito di più, vincendo una ritrosia nel parlare di cose che mi coinvolgono; ma penso che parlarne sia da parte mia un modo di esprimere una giusta riconoscenza, e soprattutto dà ad altri la possibilità di conoscere. Escobar è una suora ottantaquattrenne che – con l'aiuto di una fondazione canadese -segue i ragazzi di strada di Recife, facendoli diventare atleti di circo. La scelta di proporre una formazione come acrobati e giocolieri ha una sua logica: chiede ai ragazzi un'enorme disciplina e continuità, una forma fisica eccellente (viene ovviamente fornita quell'alimentazione adeguata, che i ragazzi di strada normalmente non hanno) ed è incompatibile con l'uso di droghe o di alcool. Nel “contratto” che stipula con loro, Escobar chiede in cambio ai suoi ragazzi un impegno su quattro “punti cardinali”: responsabilità, solidarietà, creatività, performance. Questa ottuagenaria veste in pantaloni e camicetta di seta: in Brasile non ci capiterà mai di vedere preti e suore vestiti come siamo ancora abituati a vederli in Italia. Julio Lancellotti (nome italiano, come molti, ma è un brasiliano di discendenza italiana) è in una posizione “alta” nella Chiesa ufficiale, come vicario dell'arcivescovo di San Paolo per il popolo di strada. Si è fatto prete tardi, venendo dalla professione di psicologo e dal servizio sociale. Ha messo in piedi una quantità di progetti sociali belli e funzionanti (per i barboni, per gli adolescenti “con problemi”, per i bambini e ragazzi sieropositivi - sono oltre 600 mila i sieropositivi in Brasile -). Ha organizzato un movimento della gente di strada, culminato in una manifestazione nelle strade del centro di San Paolo, convinto che non dovessero limitarsi a ricevere assistenza, ma lottare direttamente per migliorare la propria situazione. L'atteggiamento del Comune di San Paolo è stato rabbiosamente contrario, con ricorsi alla Corte costituzionale contro una legge in favore del popolo della strada, che ormai era entrata in vigore, ma della quale la municipalità rifiutava di emanare il regolamento attuativo. La situazione cambiò con le elezioni municipali del 2000, vinte dal partito di Lula (e perse di nuovo nell'ottobre 2004). Lancellotti negli anni scorsi ha ricevuto diverse minacce di morte. Mi rimane in mente la “Casa Vida del cielo”, cioè le belle foto dei ragazzi morti per Aids, appese su una parete della Casa Vida. Ricordo un magnifico dolce offertoci col caffè, e la conversazione con una ragazza ospite della Casa, che studiava l'italiano e mi ha spiegato le differenze fra portoghese e brasiliano di cui ho parlato sopra. Tutto si fa nella Casa Vida (dal pianoforte all'istruzione che i ragazzi preferiscono) per offrire a loro la qualità della vita migliore possibile, finché possono vivere. In alcuni casi, si sono anche registrati dei sostanziali regressi della sieropositività. Vorrei ricordare ancora un pomeriggio a Goias Velho, con Pio Campo, tutto vestito di bianco, che conduceva una sessione di danza-terapia con un gruppo di anziani handicappati, prevalentemente donne di colore, pulitissime nei loro abiti a fiorellini, attente e silenziose. Accompagnati dalla voce della Callas nell'aria della Casta Diva, gli anziani hanno cominciato a danzare e le loro ombre a riflettersi sul muro. Io ho cominciato a piangere silenziosamente senza riuscire ad arginare le lacrime, ma non ero la sola. Nella mia vita, non ho mai abbracciato e carezzato tante signore scure e sdentate come quella sera. Pio è un ex operatore turistico milanese che, ad un certo punto dalla propria vita, si è stancato di organizzare le vacanze stupide degli altri, ha venduto la casa ed è venuto in Brasile, dove si è costruito una competenza avanzatissima in questo settore. Spesso torna in Italia a tenere corsi per i terapisti italiani. Ricordo infine la serenità di Arturo Paoli, il piccolo fratello novantaquattrenne, amico e contemporaneo di La Pira e Dossetti, il cui portoghese con spiccato accento lucchese è stato il più comprensibile per noi di tutto il viaggio, che guarda al futuro delle sue iniziative dopo di lui. Uno dei frutti di questo viaggio è stato per me quello di riuscire – almeno per qualche giorno - a confrontarmi serenamente con situazioni estreme (l'Aids, l'handicap, la malattia e la morte, l'estrema povertà) superando un po' quella sensazione di impotenza e di sconforto che porta a subire e a non fare niente. L'impegno lucido e sereno di queste persone, che non amano la sofferenza e vorrebbero eliminarla dalla faccia della terra, o almeno ridurla, mi sembra una cosa molto umana e vitale.
Oltre ai siti citati nel testo, per conoscere meglio il Brasile ho trovato utili questi:
Musibrasil.net non parla solo di musica, ma contiene una ricchissima e accurata informazione su società, politica, cultura brasiliana. E' possibile iscriversi ad una newsletter mensile che informa sugli aggiornamenti del sito. L'edicola del sito Internazionale.it consente di accedere ai siti di moltissimi giornali brasiliani. Il Sito dell'ambasciata del Brasile in Italia: Il sito della Fondazione Agnelli, che dedica una sezione alle popolazioni e culture italiane nel mondo. Oltre a studi e ricerche, i discendenti di italiani possono “cercare le proprie radici”, consultando gli elenchi degli emigranti italiani sbarcati in America. Emilia Settembre 2004
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