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Due parole sulla
scelta del manuale: naturalmente ognuno ha il suo punto di vista e
qualcuno è bello da leggere come un romanzo; tuttavia ho preferito
scegliere un manuale meno "artistico", che mirasse semplicemente a
puntualizzare i capisaldi di una buona scrittura. Se vuoi leggere gli altri capitoli: Capitolo 1: il corpo narrativo CAPITOLO 2 - L'INCIPIT Tradizionalmente una storia iniziava col "c'era una volta..." Oggi invece si tende ad attaccare in medias res, nel mezzo dell'azione, proseguendo con un flashback, ossia un balzo indietro nel tempo, per chiarire gli antecedenti. Ma non basta: per coinvolgere subito il lettore bisogna disporre le parole iniziali in modo da costringerlo ad andare avanti. Un incipit drammatico e immediato o una struttura sintattica originale sono i mezzi con cui lo scrittore può tentare di catturare il lettore. Molti racconti di Cesare Pavese iniziano con una preposizione. Ad esempio: "Di tutta l'estate che trascorsi nella città semivuota non so proprio che dire" oppure "Sull'aia liscia e soda come un tavolo di marmo, saliva il fresco della sera" Perfino Dante ha iniziato la Divina Commedia con un'analoga struttura sintattica: "Nel mezzo del cammin di nostra vita..." Ma perché questi inizi sono così efficaci? Perché si reggono su una particella secondaria del discorso, e quindi costringono il lettore ad avanzare di qualche parola per scoprire la parte principale.
** qualche astuzia per superare il blocco dello scrittore: usare una qualsiasi parola d'avvio, anche scelta a caso dal vocabolario, che nulla abbia a che vedere con l'argomento da trattare. Poi, cercare un legame per agganciare la parola data all'idea o al discorso che si vuole esprimere.
ESERCIZI 1) Descrivi un piatto di pastasciutta iniziando con una di queste parole: che - per quanto - non sapevo - volendo - difficilmente - chiunque - poiché. (naturalmente nulla impedisce che si provi a scrivere sette distinte descrizioni, iniziando ogni volta con una parola diversa). ESEMPIO ESERCIZI SCRITTURA CREATIVA Difficilmente potreste immaginare un
piatto di pasta più ricco, condito, colorato e appetitoso di quello che
mi preparò sua madre, una domenica che andai a trovare Luana.
Per quanto mi sforzassi di non farci caso,
quella sera il minestrone di mia nonna era più indigesto che mai. Poiché quella sera fece buio presto, e per giunta cominciava a piovigginare, mi affrettai al bar più vicino. I proprietari, oltre a cappuccini e toasts, preparavano a richiesta alcuni semplici piatti. Mi accomodai ad un tavolino e chiesi al cameriere un piatto di spaghetti al pomodoro. Ero molto stanco, volevo solo buttar giù qualcosa e poi andarmene a letto, non mi aspettavo molto da quella cena improvvisata. Distratto, guardavo la strada oltre la vetrina. Quando mi voltai vidi davanti a me una ragazzina sorridente con un vassoio. Mi porse il piatto con gli spaghetti. Né troppi né pochi, al dente, un sughetto fresco e poco elaborato con i pomodorini ancora interi, un leggero profumo di aglio e basilico. Inoltre, due fettine di mozzarella candida su un lato del piatto. Prima non mi era sembrato di avere così fame. Mi buttai sulla pasta e la ragazzina non smise un attimo di guardarmi. Alla fine mi chiese se desideravo qualche altra cosa e, al mio diniego, mi portò il conto. Fui sorpreso, un piatto di pasta e un bicchiere di vino, anche tenendo conto del coperto, non potevano costare cento euro, quasi duecentomila delle vecchie lire. Ero imbarazzato, la ragazzina era così gentile... Comunque, era veramente troppo, trovai la forza di protestare. La ragazza mi guardò in un modo strano, sembrava una vipera; mi aspettavo che da un momento all'altro le sue pupille si trasformassero in due fessure nere. Mi strattonò per la giacca, mi costrinse ad alzarmi, e mi trascinò in strada. Prima di chiudere la porta mi urlò addosso:"morto di fame"!
Che sarei finito a fare il pulicessi, non lo avrei mai immaginato. Io, professore di filosofia in pensione, ridotto peggio di un drogato, a mendicare il cibo alla mensa della Caritas. E se ci penso bene proprio un drogato sono: se vedo una qualunque cosa da mangiare, anche se sono già pieno, non posso fermarmi, devo ingoiarla. Si, ingoiarla, perché di questo si tratta; assaggiare i cibi, centellinare il vino, non sono cose per me. Io vado per le spicce, e in due o tre bocconi metto al riparo il cibo nel mio stomaco. Per la pastasciutta poi ho una passione particolare, e Giulia l'aveva capito. L'avevo incontrata in un ristorante a cinque stelle, dove faceva la cuoca. Quel giorno, sedevo malinconico non so più per quale ragione. Lei si presentò con un vassoio: un trionfo di gamberoni, contornati da un anello di spaghetti; da quei serpentelli dorati s'innalzava un profumino di Vernaccia da far perdere i sensi. La portai via la sera stessa: furono sei mesi di felicità, pastasciutta a pranzo e cena: penne, zite, vermicelli, cannolicchi, spaghettini, orecchiette, fettuccine, gnocchetti, stringozzi. Per non parlare dei condimenti... Ora se n'è andata coi miei risparmi. L'avreste mai detto?
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