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Spunti di psicoanalisi infantile
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IL GIOCO NELLA PRIMA INFANZIA L'evoluzione affettiva e quella intellettuale sono i due compiti che il bambino deve affrontare, per trasformarsi da esserino bisognoso impaurito e dipendente, in una persona autonoma ragionevole e capace di stabilire rapporti affettivi. Per affrontare questo discorso facciamo riferimento ai bambini con problemi ossia ai bambini che vengono a volte portati dallo psicologo: quali sono i problemi di questi bambini? Sono problemi di rapporto con la famiglia, gli insegnanti, i compagni di scuola. Tra questi bambini e le persone intorno non
c'è più una buona comunicazione e quindi una buona relazione. Il bambino è il gioco, trovare un bambino che non gioca è impossibile, il gioco è l'autocura che il bambino (ma non solo il bambino), fa a se stesso per rinfrancarsi delle difficoltà che la vita di tutti i giorni gli porta. Non stiamo più parlando solo di bambini con problemi di una certa gravità, ma proprio di tutti i bambini. Il bambino gioca per acquistare il pieno dominio di se stesso e della realtà. Giocando, ottiene un piacere e insieme arricchisce il suo patrimonio di conoscenze esplorando quanto lo circonda. All'inizio i giochi servono soprattutto ad
affinare i suoi strumenti percettivi: vedere, sentire, riconoscere la
realtà esterna, sia che si tratti di un giocattolo, che del viso della madre. Man mano che il bambino perfeziona le sue capacità psicomotorie i giochi si fanno più complessi: trascinamento di oggetti, lanci e prese di palla, costruzioni con cubi sabbia creta ecc. In un secondo tempo, quando queste abilità siano state acquisite, il bambino passa ad un tipo di gioco che coinvolge maggiormente l'imitazione degli adulti e l'immaginazione. Il bambino è interessato, più che a sapere come è fatta una palla o il viso del padre, a scoprire come funzionano i rapporti con le persone. La vita di tutti i giorni pone al bambino
una serie di problemi, fin da quando è neonato. A questo punto e per fortuna del bambino,
interviene il gioco. Nel gioco il bambino rivive la realtà di tutti i giorni
trasformandola secondo i suoi desideri, quindi quanto era stato passivamente
subito, viene ora trasformato nel contrario. Insisto sul punto che anche il bambino più
sano, figlio dei genitori più illuminati subisce frustrazioni e vive conflitti
che il gioco lo aiuta ad elaborare. Ciò che è vietato può essere espresso nel gioco in forma lecita; lo spunto sarà quasi sempre costituito dalla vita di famiglia. Ma il significato più importante del gioco per il bambino, è quello di aiutarlo a diventare un essere sociale e un individuo autonomo. La nascita biologica non coincide con la nascita psicologica. Il bambino è nato ma non ha ancora coscienza di essere un bambino, non è ancora uscito da quella fusione con la madre che caratterizza i primi mesi di vita, non ha ancora acquistato caratteristiche individuali. Nelle prime settimane di vita, come
tutti i genitori sanno, il bambino passa quasi tutto il tempo in uno stato di
dormiveglia, dal quale si scuote solo quando la tensione per la fame o altri
bisogni lo fa piangere, e appena è soddisfatto ripiomba nel sonno. Dal secondo-terzo mese di vita
comincia nel bambino una vaga consapevolezza della madre. Tuttavia il
piccolo si comporta come se lui e la madre facessero parte di una unità,
entrambi racchiusi in un confine comune: immaginate un cerchio in cui siano
presenti madre e bambino, separati da tutto il resto del mondo. A circa sei mesi il bambino
riconosce la madre come una persona separata da lui. Da un primo gioco in cui erano coinvolti il
corpo del bambino e quello della madre senza che il bambino facesse distinzione
tra dove finisse il suo e dove cominciasse quello della madre, si passa ad una
vera e propria esplorazione manuale-tattile e visiva del volto e dell'intero
corpo materno. Dai sette mesi in poi il bambino comincia a fare giochi che servono maggiormente a distinguere la sua immagine corporea da quella della madre: prende pezzetti di cibo e li mette alternativamente nella bocca della madre e nella propria. Non si tratta di un comportamento altruistico. A questi comportamenti ludici del bambino, le madri rispondono facendo giochi in cui paragonano le parti del corpo del bambino, con le proprie: questo è il mio naso, dov'è il tuo? Attraverso questi momenti il bambino si avvia nel corso dei successivi due anni ad una vera separazione psicologica dalla madre. Si tratta di un processo durissimo di cui molti adulti portano ancora le tracce: è difficile separarsi! Questa separazione è addolcita e favorita
da un altro tipo di gioco. Spesso i bambini spostano l'interesse che hanno per
la madre su un oggetto inanimato, quasi sempre fornito dalla madre stessa e
legato alle pratiche dell'alimentazione o dell'andare a letto: una copertina, un
pannolino, un biberon, un giocattolo morbido (il cosiddetto oggetto
transizionale). Infatti qual è la più grande
preoccupazione del bambino in questo periodo? Quella di essere abbandonato dalla
madre. Il gioco del nascondino, nella sua forma
attiva e passiva ha un doppio significato: trovare la madre, ma anche essere
ritrovato da lei. In conclusione, attraverso una serie di giochi, che lo aiutano a padroneggiare la scomparsa e la ricomparsa degli oggetti e delle persone, il bambino arriva ad interiorizzare la figura materna, e a credere nella sua esistenza anche quando non è presente. Progresso che aiuterà il bambino a staccarsi anche fisicamente, in via temporanea, dalla madre, e a permettergli l'ingresso nella scuola materna.
T.S.
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